RUBRICA DI ATTUALITA': IL DRAMMA DELL'EGITTO


Non molto lontano da noi c'è un Paese considerato libero, ufficialmente una Repubblica, che però purtroppo di democratico ormai ha ben poco. Con una storia incredibile, una civiltà radicata in una cultura unica, in tempi antichi una delle più fiorenti e raffinate al mondo, l'Egitto, a discapito della sua modernità e raffinatezza, che studiamo a scuola, oggi non è un Paese libero. Non lo è da un po', tra l'altro: almeno 10 anni, a causa di alcuni fatti che lo hanno reso un regime totalitarista, che considera pericoloso ed opprime tutto ciò che si discosta anche solo di pochissimo dalle ideologie imposte. 

Il 25/01/2011, dopo numerose manifestazioni, si radunava nella piazza centrale del Cairo, piazza Tahrir ("della libertà"), un gruppo cospicuo di protestanti le cui idee propendevano a violare i diritti umani delle persone: si trattava di un movimento già esistente da tempo, che con quella protesta riuscì a rovesciare il governo. Successivamente si passò per un periodo molto delicato, con numerosi rovesciamenti di fronte, in cui il potere passò inizialmente ai militari, con la successiva organizzazione delle prime elezioni libere, vinte dalla fratellanza musulmana, tendente al radicalismo, malvisto dall'occidente. 
Abdel Fattah al-Sisi
Dunque le maggiori nazioni europee decisero di intervenire, ma il ministro degli esteri egiziano, nell'estate del 2013, fece un altro colpo di stato. Abdel Fattah al-Sisi prese il potere, dando il via a una stagione ancora peggiore, che si protrae fino ad oggi
, sempre in peggio. Al-Sisi è stato poi rieletto nel 2018, con una vittoria netta (97% dei votanti); tutto ciò però è impensabile: ci fu solo un altro candidato, tra l'altro praticamente un suo sottoposto, che ricevette meno voti di quante furono le schede bianche. Successivamente fu persino approvata una legge per cui il presidente potesse avere ulteriori mandati

Emblematica è una delle numerose repressioni ad opera dei militari, durante una protesta: 1000 morti; questo regime, appunto, individua, incarcera e sopprime chiunque di "sospetto", considerato oppositore, prendendo di mira l'attivismo, la diversità, chi esprime la propria opinione, chi commenta, chi critica, chi si oppone.

Poco a sud del Cairo, nella città di Tora, troviamo l'omonimo carcere, in cui perlopiù sono detenuti, spesso in condizioni disumane, dei "criminali particolari": i prigionieri politici. Alcuni di essi sono rinchiusi, ingiustamente, nella sezione di massima sicurezza, chiamata "Scorpion"; aggiungendo un 2, costituiamo una dicitura che un ragazzo di appena 30 anni conosce fin troppo bene.
Patrick George Zaki
Patrick Zaki, intraprendente studente universitario, trasferitosi a Bologna nel 2019 per il programma Erasmus dell'Unione Europea, con un master in studi di genere, è rinchiuso lì, nella sezione Scorpion 2, dal suo arresto, avvenuto il 7/02/2019. Era tornato in Egitto a trovare la sua famiglia e, senza alcun apparente motivo, è stato fermato e fatto sparire per due giorni. All'arresto sono seguite 17 inumane ore di interrogatorio, durante le quali è stato torturato e minacciato, per carpire i suoi contatti e interessi. Dichiarato "terrorista e nemico del regime" per il suo attivismo, e nello specifico per aver semplicemente commentato alcune proteste che c'erano state contro il regime tramite post sui social, dall'Italia, viene portato dal procuratore, in una specie di bunker, per aspettare 12 interminabili ore, senza poter mangiare né bere, ed essere dichiarato "in attesa di giudizio".


L'articolo 21 della nostra costituzione recita: "Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure"


ma una cosa del genere non può esistere nel sistema ingiusto e balordo del regime egiziano, che mette in carcere i suoi oppositori senza una condanna effettiva, permettendo di detenere persone di fatto innocenti "in attesa di giudizio" e prorogare questa condizione per due anni. Patrick è stato dinanzi al giudice 13 volte: non è cambiato ancora nulla, e questa è una tortura, poiché possono mettere in carcere chiunque, a piacimento, imponendo due ideologie all'oppresso:
  • fare parte di un gruppo terroristico;
  • diffondere false notizie.

Notizia delle ultime ore è appunto la proroga dello stato di sospensione per altri 45 giorni: Patrick resterà in carcere, e questo tempo rischia inevitabilmente di allungarsi ancora. Intanto suo padre è in ospedale, ma il regime egiziano non sembrerebbe avere neanche un minimo di umanità.
[Update: il 7/12/2021 Patrick Zaki è stato liberato, restando tuttavia in attesa di giudizio]

Giulio Regeni
Tuttavia come ben sappiamo Zaki, che non ha nemmeno un letto, non è l'unico: certamente avrete sentito, anche per la manifestazione che c'è stata recentemente nella nostra città, a Pesaro, il nome di Giulio Regeni, che se n'è andato tragicamente nel 2016, ucciso dal medesimo regime. Italiano, dottorando dell'università di Cambridge, si trovava in Egitto per condurre delle ricerche sui sindacati indipendenti egiziani presso l'università americana del Cairo, argomento spinoso, riguardo cui il regime non aveva intenzione di far trapelare una singola parola. Giulio sparì il 25 gennaio e fu ritrovato morto, massacrato e mutilato il 3 febbraio. Fu inscenata una strage, con l'omicidio di altre 5 persone, per depistare i sospetti dallo Stato. Il corpo era in condizioni pietose, privato di ogni dignità e umanità, specchio della crudeltà diabolica della "repubblica semi-presidenziale", i cui servizi segreti hanno torturato nel modo più cruento immaginabile un ragazzo, portandolo a una morte impensabile. Tutto ciò è inammissibile, non può e non deve passare inosservato, e se questo non sta accadendo il merito è soprattutto della famiglia di Giulio, che nonostante tutto continua a combattere per la verità. Noi ormai temiamo queste persone: la National Security Agency egiziana ci terrorizza, come la stanza numero 13, in cui Giulio è stato torturato ed eliminato, e dove anche Patrick e molti altri hanno sofferto e continuano a perire.

La cosa preoccupante è che la situazione non accenna minimamente a migliorare, infatti recentemente abbiamo avuto un nuovo caso simile: un altro studente, Ahmed Samir Santawy, tornato in Egitto da Vienna, dove è un normalissimo studente universitario, appena giunto in aeroporto è stato prima fermato ai controlli di sicurezza e lasciato passare, ma in seguito, giusto un paio di giorni dopo, una squadra investigativa dei servizi segreti (sinistramente somigliante alla Gestapo per esempio), ha fatto irruzione in casa sua mettendola a soqquadro e, non trovandolo, dato che era fuori città, ha fatto in modo che andasse alla Polizia al suo ritorno. Ahmed ci è andato. Non è più tornato. Si sono perse le sue tracce per i successivi sei giorni, ed è stato rinvenuto con il volto tumefatto, in tribunale, con una condanna rivolta non ai suoi sadici e meschini aggressori, ma a lui, esattamente come Zaki (di cui tra l'altro è amico): stesse modalità, stessa latenza di spiegazioni verosimili. Pare che non ci sia un legame diretto fra i due arresti, il regime continua semplicemente a fare di tutto per fermare qualsiasi forma di dissenso, tentando di spaventare gli attivisti e le loro famiglie.

Ahmed Samir Santawy

Tuttavia intervenire direttamente è piuttosto complesso, dato che l'Egitto è in stretti rapporti con l'Europa e soprattutto con l'Italia. Si tratta perlopiù di legami di tipo economico, dato che la nostra penisola è il secondo partner dell'Egitto e dipende in parte da esso. Il nostro Paese ha bisogno di restare in buoni rapporti con al-Sisi, ma è inammissibile non riuscire a scindere questo dal rispetto per i diritti umani.
E' necessario adottare misure molto più stringenti e marcate, a differenza di ciò che avevano fatto inizialmente gli USA con Trump, il quale paradossalmente aveva addirittura elogiato al-Sisi come "colui che combatte il radicalismo da una parte e gestisce le proteste dall'altra", ma... se il radicalista fosse lui?
Fortunatamente con la presidenza di Biden è auspicabile un atteggiamento un po' più pragmatico, in quanto quello che all'epoca era ancora aspirante presidente aveva scritto una lettera che definirei quasi minatoria al primo ministro egiziano, ma come al solito, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, perché anche gli Stati Uniti sono in rapporti piuttosto stretti con l'Egitto, a livello economico e soprattutto strategico, questo si è visto con la guerra d'Israele. Dunque Biden dovrebbe sostituire la sua nazione a noi, facendo qualcosa che non siamo in grado di sostenere, per la scarsa forza e autorevolezza che l'Italia ha a livello internazionale.

Ma com'è lavorare in Egitto, sfidare il regime?
Recentemente ho avuto la fortuna di ascoltare Pierfrancesco Curzi, giornalista de "Ilfattoquotidiano", che è stato una fonte importantissima per tutto ciò di cui sopra, e mi ha molto interessato sapere come si senta un giornalista che opera ai giorni d'oggi vicino a un regime come questo. E' stato più volte là, ma è probabile che per un po' non ci potrà più tornare per la sua sicurezza. Questa frase penso sia il ritratto di tutto ciò che abbiamo scritto. Curzi definisce il Cairo come "una città anestetizzata, affascinante e terribile allo stesso tempo: una metropoli con un traffico e un viavai tentacolare che maschera tutto"; non ha mai ricevuto vere e proprie minacce, ma "consigli", e il massimo rischio, almeno a livello teorico, potrebbe essere quello di venire fermato e rispedito in Italia, per poi difficilmente mettere di nuovo piede nella terra del Nilo. "Si ha la sensazione di uno sguardo che non ci lascia mai", sembra di avere costantemente gli occhi addosso, che ogni singola mossa sia analizzata nei minimi dettagli: questo è spaventoso.
Ciò che possiamo fare noi è indubbiamente ascoltare, ma non essere passivi, dobbiamo sostenere le numerose iniziative che vengono quotidianamente portate avanti da associazioni come Amnesty International, dobbiamo far sentire la nostra voce, perché questo può aiutare tantissimo: lo dimostrano le 60000 firme raccolte per Patrick, le manifestazioni non solo a Pesaro e a Bologna, ma anche nel resto d'Italia e del mondo.
Ciò che sta avvenendo è scioccante e deplorevole, con un'escalation di anni ed anni: non riesco ad accettare che il mondo non reagisca davanti a una nazione che viola in modo tanto brutale e plateale i diritti umani di ragazzi che non hanno fatto assolutamente nulla, posto che condanne simili non le meriterebbe neanche il peggiore dei criminali. E' ora che questo scempio finisca.

Jacopo Muscatello.

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